Si leggono diverse interpretazioni in rete in riferimento al nome, ma la realtà è molto più semplice.Tutti i vari nomi utilizzati si riferiscono al medesimo modello e alla stessa bicicletta.In principio, potremmo dire che una certa classificazione in uso nominava il modello top di gamma Mod. A (Super Corsa) per differenziarlo dai due modelli meno prestigiosi Mod. B (Corsa) e Mod. C (Riviera).
Nel tempo, la Super Corsa con etichetta “Mod. S.C.” è diventata “Speciale Corsa” per un errore del fornitore delle etichette (anni ’60) che aveva male interpretato l’abbreviazione S.C. Oggi le etichette sbagliate si sarebbero buttate via, ma erano altri tempi. Infatti, risarcito l’errore con uno sconto, le etichette vennero utilizzate. Quindi, quelle sbagliate dettarono legge e, in una successiva edizione e ne vennero volutamente prodotte di nuove “Speciale Corsa” (anni ’70). “Super Corsa” divenne infine un nome, una parola sola: “Supercorsa”.
1963
Il 1963 è una data importante per l’evoluzione della nostra Supercorsa. Infatti, Cino Cinelli decide di sostituire i tubi del triangolo principale, fino ad allora forniti da Reynolds 531, con la serie SL di Columbus, già fornitore dei foderi posteriori e della forcella.
Come altri artigiani del mondo della bicicletta, anche Sante Pogliaghi inizia giovanissimo a districarsi tra tubi e saldature. Ha solo 11 anni quando comincia a frequentare la bottega dello zio Brambilla, telaista conosciuto a Milano sin dagli anni ’20. Nel 1947, quando ormai si è fatto le ossa, apre la sua officina: due vetrine che si affacciano su viale Elvezia, a due passi dall’Arena.Costruisce solo telai su misura per le competizioni. Il catalogo della Pogliaghi Italcorse offre quattro modelli per la pista: velocità, inseguimento, mezzofondo e tandem, e due per la strada: corsa e cronometro.Il grande palcoscenico del Vigorelli, è vicino, e il fiore all’occhiello di Pogliaghi sono i tandem da pista, per cui utilizza tubi di diametro maggiorato e congiunzioni speciali che si costruisce da solo. Produce pochi telai all’anno. Dal 1947 alla fine degli anni ’70 ha lavorato praticamente da solo, producendo al massimo un centinaio di biciclette all’anno. Alla fine degli anni ’70 l’officina si allarga, assume sei operai e la produzione sale a quasi un migliaio di unità. Ognuno di loro costruisce il telaio dall’inizio alla fine. Parte dalla scatola del movimento e salda prima il tubo piantone e poi l’orizzontale. Dopo salda il tubo obliquo alla scatola. Alla fine completa il triangolo principale del telaio saldando il tubo di sterzo. E’ un artigiano Sante Pogliaghi, ha angoli e misure in testa e costruisce a occhio. Dime e stampi non gli servono se non a sveltire il lavoro quando deve fare più telai dalle dimensioni identiche. Disegna telai che si adattano alla perfezione alle caratteristiche fisiche del ciclista e alle varie specialità. La sua fama cresce e la lista d’attesa per avere un suo telaio si allunga. Con i suoi telai corrono tra gli altri Sercu e Merckx, e gli italiani Beghetto, Faggin, Pettenella, Rossi. Le scritte cambiano a seconda dello sponsor, ma sulla pipa di sella compare sempre l’inconfondibile marchio di fabbrica, la sigla PSM: Pogliaghi Sante Milano. Nel 2000 Sante Pogliaghi muore. Aveva già ceduto il marchio alla Rossin, che sino alla metà degli anni ’80 produsse biciclette a suo nome. In seguito il marchio passa di mano più volte, sino ad arrivare ai fratelli Basso negli anni ’90, che da qualche tempo a questa parte hanno deciso di non utilizzarlo più.
(testo tratto da www.ciclisucarta.it)
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